mercoledì 11 marzo 2015

Il giovane Holden

"Non faccio che ripetere «è stato un piacere» a gente con cui non è stato un piacere per niente. Ma se vuoi sopravvivere certa roba devi dirla."
  

La missione della casa editrice Einaudi di ritradurre i grandi classici, svecchiandoli, ormai credo sia nota a tutti. E, l'anno scorso arrivò il turno dell'opera più famosa di     J. D. Salinger "Il giovane Holden".
La nuova traduzione a cura di Matteo Colombo è, a mio parere, pienamente riuscita: la lettura è piacevole e scorrevole, senza mai risultare artificiale.  
Si possono creare discussioni infinite sulla necessità o meno di svecchiare le traduzioni ma, a mio avviso, la cosa più importante è che il messaggio che i libri portano con sé arrivi ai lettori e, quale modo migliore, se non facendoli parlare la loro lingua?


A puro scopo informativo vi mostrerò un paragrafo del romanzo, nella vecchia e nella nuova traduzione.

 
 "Io abito a New York, e pensavo al laghetto di Central Park, vicino a Central Park South. Chi sa se quando arrivavo a casa l'avrei trovato gelato, mi domandavo, e se era gelato, dove andavano le anitre? Chi sa dove andavano le anitre quando il laghetto era tutto gelato e col ghiaccio sopra. Chi sa se qualcuno andava a prenderle con un camion per portarle allo zoo o vattelappesca dove. O se volavano via."
trad. Adriana Motti 

"Io abito a New York, e stavo pensando al laghetto di Central Park, quello vicino a Central Park South. Chissà se arrivando a casa l'avrei trovato ghiacciato, e se sì, chissà dov'erano andate le anatre. Chissà dove andavano le anatre quando il lago gelava e si copriva di ghiaccio. Chissà se arrivava qualcuno in furgone che le caricava tutte quante per portarle in uno zoo o chissà dove. O se volavano via e basta."
trad. Matteo Colombo 
 

Da http://footage.framepool.com
Ovviamente la traduzione di Adriana Motti era perfetta per il suo tempo ma, in cinquant'anni la lingua italiana è mutata e, non si può negare, che la nuova traduzione renda la lettura più piacevole per noi.

Il titolo originario "The Catcher in the Rye", come ci informa la stessa Einaudi alla fine del romanzo, è intraducibile, ed il suo significato fa riferimento ad una canzone di Robert  Burns. Volendo tradurre il titolo, sarebbe una cosa del tipo "L'acchiappatore nella segale", quindi, la casa editrice decise di tenere il titolo con cui divenne famoso in Italia.

Dopo aver divagato sulla traduzione desidero parlarvi della storia del romanzo.

Holden Caulfield, il narratore in prima persona della storia, è un ragazzo di sedici anni che, come ci dirà lui fin dalle prime pagine, espulso dall'ennesimo college, dopo alcune vicissitudini e un giovanile colpo di testa, decide di lasciare l'istituto prima del termine ultimo, e di iniziare una sorta di vagabondaggio che durerà un solo finesettimana, ma che lo porterà a vivere diverse esperienze, per lo più negative e che, mostrerà a noi lettori, la sua fragile situazione mentale.

La trama in breve è questa ma, se pensate che sia tutto qui, vi sbagliate. Ho iniziato la lettura di questo romanzo credendolo per ragazzi e, forse, in parte è vero. Tuttavia credo, che solo una lettura adulta e consapevole possa rivelare le varie sfaccettature che l'autore voleva mostrare.
Holden è un ragazzo giovane, impulsivo, ossessivo, quasi folle.
Nel romanzo, nel corso del suo finesettimana girovago, tornerà spesso con il pensiero al fare una chiamata alla sua amica Jane. Che non sentiva da tempo ormai, e che gli era tornata in mente solo perché, prima di lasciare il college, Stradlater, il suo compagno di stanza, gli aveva fatto sapere che ci usciva assieme. Il bisogno di chiamarla si manifesta nelle ore più improbabili della notte ma anche durante il giorno, spezzando le sue azioni e dando sempre un senso di ossessività malata al suo desiderio. 
Questa e altre ripetizioni ossessive nel corso del romanzo, mostrano chiaramente come Holden soffra di qualche disturbo mentale, probabilmente dovuto alla morte del fratello Allie, che ci racconterà lui stesso, oppure semplicemente perché diverso dai suoi coetanei.
Ad un certo punto del romanzo c'è una bellissima descrizione di un attacco di panico:

"Ogni volta che arrivavo alla fine di un isolato e scendevo dallo stramaledetto marciapiede, avevo la sensazione che non sarei mai riuscito ad arrivare dall'altra parte. Pensavo che sarei sprofondato giù, giù. giù, e che nessuno mi avrebbe più rivisto."

Insomma, Holden è un ragazzo depresso che durante il corso della storia manifesterà diversi sintomi tipici degli attacchi di panico oltre che, probabilmente, di un vero e proprio disturbo.

Voglio precisare che il romanzo risulta, per lo stile di scrittura e per il modo di narrare di Holden simpatico e leggero. Spesso ho dovuto trattenere veri e propri attacchi di riso. Per questo, su un piano più superficiale, è sicuramente un romanzo per ragazzi. 

"Come fa uno a sapere quello che farà finché non lo fa? La risposta è: non lo sa. Io penso di saperlo, ma alla fin fine che ne so?"

In definitiva, credo sia uno di quei classici romanzi con un duplice piano di lettura, che lascia al lettore la possibilità di decidere fin dove addentrarsi. Anche se questo, è sicuramente influenzato dall'età del lettore stesso, e dal suo bagaglio di esperienze.

Ho trovato stimolanti le varie citazioni a film e romanzi, all'intero della storia, specialmente quelle relative a "Il grande Gatsby", titolo da me particolarmente amato.

Io l'ho trovato un romanzo piacevole, divertente, e per certi versi, come vi ho detto prima, inquietante. Sicuramente, lo consiglio a tutti. 
Vi lascio con una frase, che ha colpito il mio interesse, con cui Holden, dopo il vagabondaggio, descrive la sensazione di essere a casa:

"Ero sicuro di essere a casa. Nel nostro ingresso c'è un odore strano, che non somiglia a quello di nessun altro posto. Non so che diavolo sia. Non è che sa di cavolfiore, ma nemmeno profuma -non so proprio che diavolo è- però capisci subito che sei a casa."

Chi di voi lo ha letto? Cosa ne pensate? Fatemi sapere la vostra!


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