Oggi il mondo si è risvegliato un
po’ più compassionevole o almeno questo è quello che vuole farci credere.
Ieri
è morto suicida l’ennesimo personaggio famoso e oggi si improvvisano tutti
psicologi, grandi intenditori della vita sotto ogni suo aspetto. Vorrei parlare
dei molti commenti che puntualizzano sul fatto che fosse alcolizzato, drogato e
di come per questo motivo la sua morte non meriti la compassione della gente ma che
anzi, la gente dovrebbe pensare ai malati gravi e alle persone che soffrono per
problemi veri.
Questi commenti in particolare li
trovo molto simpatici. I "problemi veri”. Perché essere depressi non è un
problema vero, per loro.
Queste persone sono così
compassionevoli verso chi soffre per “problemi veri” ma non verso coloro che
ogni mattina, appena aprono gli occhi, sentono l’inutilità della loro vita.
Perché ovvio questi non sono “problemi veri”.
Svegliarsi ogni dannata mattina
della tua vita sapendo che è solo un’altra giornata persa, un’altra giornata
vuota, un’altra giornata che ti avvicina alla morte, al nulla cosmico, all’annientamento.
Nonostante tutto, decidere di alzarsi dal letto invece di continuare a vegetare
tra le lenzuola. Alzarsi, andare in bagno, guardarsi allo specchio e provare un
conato di vomito nel vedere il proprio volto riflesso in quanto nel riflesso si
vede il volto del proprio carnefice, il colpevole che ha reso la propria vita
uno schifo. Uscire dal bagno, decidere di andare a mangiare qualcosa, cercando
di non pensare a quanto la vita faccia schifo, a quanto nonostante le decisioni
che si possano prendere non cambierà nulla. E, a questo punto, c’è chi va a
lavorare, chi a studiare, chi rimane in casa perché disoccupato. Pensate che
quindi il resto della giornata sia più felice perché si è superata la
mattinata? Non pensatelo neppure per un secondo.
Se si lavora o si studia, si
dovrà fare i conti con i colleghi, con le vuote parole che accompagnano la
maggior parte delle relazioni e che non faranno altro che far sentire la persona
depressa, ancora più depressa.
Vorrei potervi dire che il peggio
avviene solo quando si incontra qualcuno che nella vita ha avuto fortuna e che
quindi nella depressione si nasconda una malcelata invidia. Invece no. Un
depresso non prova neanche invidia. Non prova invidia perché non riesce a
vedere nulla al di fuori del proprio dolore. Non riesce a sentire la felicità,
di nessuno e quindi neanche della sua. Non riesce a sentire il dolore perché
quando incontrerà qualcuno che soffre si sentirà, semplicemente, inghiottire
dalle sue ombre, dal mostro che vive dentro il suo essere e che, giorno per
giorno, lo divora.
Non c’è luce. Non c’è felicità.
Non c’è dolore. NON C’È NIENTE.
Ma non sempre la depressione
finisce in un suicidio. Ci sono persone che ci convivono. Perché la depressione
non “passa”, una volta che ti ha toccato, ti ha infettato per sempre,
infettando tutto il tuo mondo. Quindi non c’è cura. NON C’È NIENTE.
Come dicevo quindi, nel migliore
dei casi passa, quella che io chiamo, la fase acuta. Quella fase nella quale
vedi tutto così buio e senza via di uscita che riesci a pensare solo alla morte
come eventuale fuga, non solo da tutto il dolore che si prova ma anche dal
NULLA che si sente dentro.
Ad ogni modo passata questa fase,
si riesce, in qualche modo a vedere uno spiraglio di luce e di felicità nel
mondo, nella propria vita e in se stessi. Si può arrivare anche a ridere di
gusto e ad essere spensierati ma la verità è che la depressione non ti lascia
mai. Una volta che se ne viene toccati è come se si venisse marchiati a fuoco e
la vita, purtroppo, non sarà più quella di prima. Si potrà essere felici certo
ma dietro a questa felicità si sarà, per sempre, consapevoli che il NULLA è in
agguato. Basterà una piccola delusione, un piccolo fallimento e questo NULLA
tornerà a divorarti senza che tu possa sfuggirgli.
E così, anche un depresso “guarito”
continua a vivere la sua vita consapevole della vacuità della sua felicità.
Quindi, vi prego, non venite a
dirmi che la depressione non è una vera malattia e che bisogna avere solo
compassione di chi ha “problemi veri”. La depressione È un problema vero.
Di solito si scatena dopo un fallimento, dopo una perdita, dopo quello che,
sono certa, voi chiamereste un “problema vero”. Solo che la depressione resta e
non si guarisce. È un marchio, un’onta, un’infamia perché la gente ti vedrà per
sempre come quello che “non ha voglia di stare bene”, quello che “non hai amici
perché hai un brutto carattere”, quello che “mangi troppo perché ti piace
mangiare”, quello che “mangi poco perché segui i modelli sbagliati della
società”, quello che, amici miei, si suicida ad un certo punto della sua vita,
stanco di essere additato da voi persone benpensanti, oltre che stanco di
lottare contro il buio e il nulla che lo mangiano vivo.
Oggi il mondo si è riscoperto
essere un po’ più compassionevole o almeno è quello che vuole farci credere,
illudendoci che ci sarà redenzione e che invece, come sempre, ti scava la buca,
con un calcio ti butta dentro e poi ti ricopre di terra.